(g.l.) C’è solo da sperare in una tregua del maltempo, per il resto la festa di Sutrio che sarà dedicata domani ai “cjarsòns” ha tutti i numeri per un’ottima riuscita. Su questa golosità il paese montano – famoso per i suoi artigiani del legno e per i presepi natalizi – incentra infatti la sua ormai tradizionale festa d’inizio estate, denominata “I Cjarsòns, la tradizione della Carnia”, che quest’anno si terrà in coincidenza con il 2 giugno Festa della Repubblica. Così, passeggiando fra le 9 isole di degustazione allestite negli angoli più caratteristici del paese, si potranno gustare i sapori inconsueti di questa pietanza e conoscere le diverse anime che caratterizzano un cibo d’origine sicuramente povera, ma complesso e ricco d’ingredienti quanto un piatto di alta ristorazione.

Nove paesi, in rappresentanza di tutte le vallate della Carnia, proporranno ciascuno la propria ricetta tradizionale. Si potranno così degustare “cjarsòns” salati o dolci, insaporiti da erbe primaverili o da piccole scaglie di cioccolato, con melissa e cipolla oppure con pere secche e carrube, accompagnati ai più pregiati vini di grandi aziende friulane, selezionati per l’occasione. Oltre agli stand gastronomici, in programma anche attività per bambini, musica dal vivo e il Mercatino con i prodotti del territorio. La festa rientra nelle attività di animazione del territorio prevista dal Bando Borghi Pnrr “Il Bosco nel Borgo-Il Borgo nel Bosco”.
Come ricordavamo nei giorni scorsi, hanno radici lontane ed esotiche i Cjarsòns, sorta di golosi ravioli, piatto simbolo della Carnia, intatte montagne friulane le cui valli sono state solcate da tempo immemorabile da commerci, passaggi di persone, culture ed idee fra mare Adriatico ad Oltralpe, verso le attuali Carinzia e Baviera. La loro origine è legata ai “cramàrs”, i venditori ambulanti di spezie che, dal ‘700, attraversavano a piedi le Alpi per vendere nei paesi germanici la loro preziosa ed esotica mercanzia acquistata a Venezia e riposta nella “crassigne”, una sorta di piccola cassettiera di legno che portavano a mo’ di zaino sulle spalle. Quando tornavano a casa, era festa grande e le donne preparavano i Cjarsòns, ravioli con ripieno a base di ricotta impastata con una ricchissima varietà di ingredienti: spezie, frutta secca, uva sultanina, aromi orientali, erbe aromatiche… quanto insomma rimaneva sul fondo dei cassetti della “crassigne”.
Ancora oggi in Carnia moltissime sono le ricette dei “cjarsòns”, il cui ripieno varia non solo da paese a paese ma anche da famiglia a famiglia: se ne contano oltre 50 variazioni. Ogni massaia, ogni ristorante ne ha una propria, utilizzando al meglio la dispensa e abbinando alle spezie ingredienti freschissimi quali mele, patate, spinaci, uvetta, mentuccia, erbe primaverili. Tocco finale, il condimento: una semplice spolverata di “scuete fumade” (ricotta affumicata) e “ont” (burro fuso). Buon appetito!

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E a proposito della storia dei “cramàars” riportiamo quanto descrive il Museo Carnico delle Arti Popolari “Michele Gortani” di Tolmezzo:

…parte di questi Popoli di Cargna fanno diversi traffici con Tedeschi e come gente industriosa si partono dal loro paese in gran numero et vanno a procacciarsi il vivere in luoghi lontanissimi, di maniera che ormai se ne trovano per tutta Europa…
Nel 1599 lo storico Jacopo Valvason di Maniago nella sua Descrittione della Cargna descriveva con queste parole il fenomeno migratorio dei cramàrs; esso rappresentò una pagina essenziale nella storia della Carnia registrando il massimo sviluppo tra Seicento e inizio Ottocento.
Il termine cramàrs è un prestito dal tedesco Krämer, ovvero speziale, droghiere; è stato poi utilizzato in forma estensiva anche per il commercio di stoffe.
I cramàrs erano venditori ambulanti di spezie e di medicamenti; per estensione si denominarono così anche i venditori di stoffe e affini; al contempo, si esportavano dalla Carnia anche specializzazioni di mestiere tra cui primeggiò l’attività dei tessitori, noti per la loro perizia, insieme a sarti, cappellai.
Di regola i cramàrs erano originari dei paesi di montagna della Carnia e i loro traffici si snodavano dalla Germania inferiore all’Austria, fino all’Ungheria e alla Transilvania.
Tessitori e sarti emigravano invece verso la pianura, il Veneto, l’Istria.
Si trattò, almeno inizialmente, di un’emigrazione a carattere temporaneo: gli uomini andavano d’autunno e tornavano in primavera avanzata. Anche quando assunse carattere permanente i vincoli con i paesi d’origine rimasero sempre vitali.
Le attività commerciali dei cramàrs, unitamente a quello straordinario fenomeno che fu la fabbrica di tessuti di Jacopo Linussio nel ‘700, costituirono una voce portante dell’economia della Carnia in età moderna con notevoli ricadute sulla storia economica, sociale e culturale della comunità.
Una testimonianza palese è la straordinaria ricchezza architettonica dei piccoli paesi dell’alta Carnia i cui edifici più prestigiosi spesso appartennero a cramàri e i cui campanili hanno le cupole a cipolla tipici dell’Austria e della Bassa Germania.
I cramàrs spesso donarono alle chiese dei paesi d’origine smaglianti oggetti d’arte sacra, famose le argenterie di Augsburg con smalti policromi, dipinti, sculture e altari lignei.
Meno appariscenti, ma durevoli, sono i prestiti culturali penetrati nella lingua, nelle usanze, nella musica, nel mondo della gastronomia come ben mostrano le stesse collezioni del museo.
Parlando di cultura, non si può non ricordare che il tasso di alfabetizzazione in Carnia era molto alto anche per la necessità di saper leggere e scrivere comportata dalle attività commerciali e artigianali di cramàri, sarti e tessitori migranti, consapevoli dell’importanza dell’istruzione per chi era destinato a girare per il mondo.

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In copertina, una massaia carnica mostra orgogliosa i suoi “cjarsòns”; all’interno, i tradizionali ravioli ripieni in attesa della cottura e pronti nel piatto per essere finalmente degustati.

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