di Giuseppe Longo

Dazi americani sul vino europeo, e quindi anche italiano, al 200 per cento? Potrebbe trattarsi, almeno così speriamo, più di una “sparata” propagandistica che di una concreta realtà. Ma l’impressionante imposizione non l’ha inventata nessuno: è uscita dalla bocca di Donald Trump, da neanche due mesi alla guida degli Stati Uniti: sarebbe una pesantissima ritorsione contro la decisione dell’Unione Europea di colpire il whisky Made in Usa.
A parte la levata di scudi immediata da parte delle Organizzazioni di categoria e Consorzi di tutela, registriamo la forte presa di posizione di una importante Città del vino del Friuli Venezia Giulia, San Vito al Tagliamento – Comune con la più alta incidenza viticola della regione in rapporto alla superficie totale -, che ha alzato la voce attraverso il sindaco Alberto Bernava. «L’insensata guerra commerciale di Trump arriverà a colpire anche l’export dei nostri vini, con dazi che potranno arrivare al 200%», ha esordito il primo cittadino in una nota apparsa sui social. «Credo – ha aggiunto – che dobbiamo iniziare a preoccuparci, seriamente. Anche chi in Europa ha sostenuto inizialmente il presidente statunitense, non può non ricredersi, o quantomeno iniziare a dubitare della bontà del proprio sostegno. “Sarà un grande anno per le nostre aziende di vino”, ha detto. Il vino italiano però – e mi si permetta, quello friulano- non può essere sostituito da prodotti di altre origini. Per definizione».

Alberto Bernava


«Queste posizioni – ha osservato ancora il primo cittadino sanvitese – evidenziano un’incapacità di leggere i mercati globali per la ricchezza che portano ai cittadini in termini di libertà di scelta, di cultura, di benessere, di esperienza, di esplorazione. E, ovviamente, di ricchezza per le aziende che esportano i propri prodotti, il proprio brand. Che parlano al mondo con la propria storia e il proprio talento. Soffermiamoci per un attimo a pensare alle nostre cantine e al loro successo nazionale ed internazionale. A Shanghai, a New York, a Buenos Aires, a Baku si possono bere i vini del nostro Collio, delle nostre Grave, delle lande più belle e più fertili della nostra Terra. San Vito al Tagliamento è “Citta del Vino” anche per questo. Perché crediamo nello straordinario valore culturale del vino e sosteniamo le nostre aziende agricole, veri e propri gioielli del nostro tessuto economico. Crediamo che sia giusto opporsi a questa guerra commerciale folle, augurandoci che anche il nostro governo, che ha rinominato il Ministero dello sviluppo economico “del Made in Italy”, possa essere incisivo in tal senso».
«Le minacce di Donald Trump di mettere un dazio del 200% sui vini europei rischierebbero di danneggiare pesantemente le esportazioni di bottiglie tricolori che nel 2024 hanno raggiunto il valore di 1,94 miliardi di euro negli Stati Uniti», emerge da un’analisi Coldiretti/Filiera Italia diffusa in relazione all’annuncio del presidente Usa di imporre una tariffa aggiuntiva su vini europei e Champagne, appunto come ritorsione contro la decisione dell’Ue di colpire il whisky Made in Usa. «Una misura estrema – si legge ancora – che manderebbe di fatto in sofferenza il vino tricolore, compromettendo un percorso che negli ultimi venti anni ha visto le vendite negli Stati Uniti quasi triplicate in valore, con un incremento del 162%, secondo l’analisi della Coldiretti su dati Istat, tanto da rappresentare circa un quarto delle esportazioni totali di vino italiano. Quasi un terzo del totale è rappresentato dagli spumanti. Gli Usa sono anche il primo consumatore mondiale di vino con 33,3 milioni di ettolitri, secondo dati Oiv, e per l’Italia rappresentano in valore il mercato più importante». Per cui «Occorre ora fermare una pericolosa escalation che sta conducendo a una guerra commerciale globale dove le prime vittime saranno i cittadini statunitensi che pagheranno di più i prodotti e, con essi, gli agricoltori, mettendo in atto tutte le azioni diplomatiche necessarie per scongiurare lo stravolgimento dei flussi commerciali», come sottolinea il presidente Ettore Prandini. «Credo che ci voglia buon senso da entrambe le parti – aggiunge l’ad di Filiera Italia, Luigi Scordamaglia -. La minaccia di Trump è legata alla conferma dell’Europa del dazio del 50% sul whisky americano. La Commissione Ue dovrebbe dimostrare buona volontà continuando ad evitare con la moratoria in essere questo dazio salvaguardando cosi vino e alcolici europei. Qualcuno deve cominciare a mostrare un po’ di buon senso, sia l’Europa a farlo per prima».
Immediato anche il commento del presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti: «Confidiamo che l’ultima dichiarazione del presidente Trump sia una provocazione. Inutile dire che con tariffe di queste (s)proporzioni, i nostri produttori di vino perderebbero il partner commerciale numero uno al mondo. L’export italiano di vino verso gli Usa vale, infatti, quasi 2 miliardi di euro ed è in crescita. Pochi mesi fa, a fine 2024, le nostre aziende hanno partecipato all’edizione americana di Vinitaly con grande entusiasmo e risultati. Restiamo convinti che innescare una guerra di dazi non serva a nessuno. L’Unione Europea, per evitare di azzerare l’export verso gli Stati Uniti, deve fare sistema ed agire in modo coeso privilegiando la negoziazione».
«Speriamo che questa di Trump sia solo una provocazione. Una tassazione al 200% sui vini azzererebbe di fatto le vendite verso gli Stati Uniti, che sono il nostro primo mercato di sbocco per il vino, con quasi 1,9 miliardi euro e un peso sulle esportazioni agroalimentari oltreoceano del 26%», è infine il commento del presidente di Cia-Agricoltori Italiani, Cristiano Fini. Cia ricorda che «la percentuale di export di vini verso gli Usa ha segnato un incremento del +7% sull’anno precedente (+7%), con un’impennata per i vini spumanti (+19%). Si tratta di un’incidenza di quasi il 24% sull’export totale di vini tricolore. A dipendere maggiormente dagli Stati Uniti per il proprio export sono i vini bianchi Dop del Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia, con una quota del 48% e un valore esportato di 138 milioni di euro nel 2024; i vini rossi toscani Dop (40%, 290 milioni), i vini rossi piemontesi Dop (31%, 121 milioni) e il Prosecco Dop (27%, 491 milioni)». Cia ricorda, inoltre, che «il rischio di dazi lascerebbe strada libera ai competitor che potranno aggredire una quota di mercato molto appetibile: dal Malbec argentino allo Shiraz australiano, fino al Merlot cileno». Dalla parte dei produttori di vino italiani, Cia ricorda anche come sia «difficile recuperare rapporti solidi con i buyer Usa, una volta che questi siano costretti a interrompere le relazioni con l’Europa per cercare altri mercati internazionali».

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