di Roberto Zottar

La globalizzazione e la attuale vita frenetica hanno avuto riflessi anche sulle feste e sulle abitudini alimentari ad esse legate, in un difficile equilibrio tra tradizione e innovazione, e ciò ha portato sia alla perdita delle regole dell’antico calendario alimentare, nel quale i Santi e le loro festività marcavano l’identità culturale e le tradizioni a tavola, sia ad una rivisitazione di questi momenti della vita di una comunità. La festività che ha più resistito nel tempo è quella del Natale che riesce a mantenere il calore della tradizione e dell’intimità familiare.
Il periodo natalizio inizia la notte del 5 Dicembre quando ad esempio in molte località della Carnia, della Pedemontana, a Gorizia e a Trieste si festeggia San Nicolò vestito da vescovo e mitra e con il diavoletto, il Krampus della Valle del Fella che va alla ricerca dei bambini cattivi. Se San Nicolò è vivo nelle aree di influenza asburgica, Santa Lucia è celebrata nelle aree che erano sotto il dominio veneziano, ed entrambi portano ai bambini piccoli dolci, mandarini e frutta secca. Le feste richiamano i dolci e a Gorizia e a Trieste c’erano i pani decorati con l’effige di carta del Santo, “imparentati” con i Lebkuchen tedeschi, i cosiddetti Gebildbrote. Di origine mitteleuropea, i diavoletti e gli spazzacamini neri che erano realizzati con prugne secche grinzose infilate in bastoncini di legno con un bianco berretto di carta ed una scaletta, Zwetschenkrampus e Kletzenkrampus (se fatti con pere secche). Tra i dolci locali attuali presenti sulle tavole natalizie il posto d’onore è occupato dalla tipica putizza o gubana di pasta lievitata ripiena di frutta secca.  Tra gli altri dolci possiamo ricordare il mandorlato, il marzapane, ma anche il cuguluf al lievito ed i soffici buchteln.
Il dolce però un tempo più caratteristico per l’area giuliana e per l’Istria erano le frìtole di pasta lievitata, secondo il detto: De Nadal le frìtole, de Pasqua pinze e titole, Esistono anche in versione salata con il ripieno d’acciuga, le cosiddette frìtole co l’anima che ricordano le analoghe pettole pugliesi. Le fritole sono presenti in regione fin dalla deduzione di Aquileia del 181 a.C. anche se l’attuale versione al lievito risulta rielaborata poi in Oriente e ritornata a Venezia nel XIII secolo e da allora è rimasta invariata.

Preparazione:
Per realizzarle da 280 g di farina prelevate una parte per fare una pastella con 20 g di lievito ed un po’ di latte. Mescolate la restante farina con 4 tuorli, 20 g di burro, 50 g di zucchero, la scorza grattugiata di un limone e un quarto di latte. Unite il lievito e sbattete molto bene e a lungo la pasta, aggiungendo poi 20 g di pinoli e 30 g di sultanina rinvenuta nel rum. Friggete in olio caldo a cucchiaiate: il vero segreto è la temperatura dell’olio che dev’essere attorno ai 170°.

Vino:
Il Ramandolo Docg o il Verduzzo dolce dei Colli orientali del Friuli, e il grande Picolit, pure a denominazione di origine controllata e garantita, sono perfetti. Ma se preferite un vino più asciutto, trattandosi di un dolce fritto, andrà sicuramente bene anche una Ribolla gialla spumantizzata.

Buon Natale!

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In copertina, le Frìtole de Nadal.

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