di Giovanni Oliviero Panzetta*

Come spesso succede, i post di Giuseppe Longo stimolano le mie riflessioni sul legame tra qualche alimento e la salute. L’ultimo post, che riguarda l’iniziativa della Delegazione Friulana dell’Accademia Italiana del Peperoncino a favore dei ristoratori in sofferenza per le restrizioni imposte dal Coronavirus, mi porta a ragionare sulle virtù di salute del peperoncino.
L’Oms (Organizzazione Mondiale della Salute), per sfatare una delle credenze che avrebbero preso piede durante la pandemia, ci fa sapere che il peperoncino è certo molto gustoso nelle nostre mense, ma non previene e non cura l’infezione da Coronavirus. Eppure, recenti ricerche di cristallografia molecolare accreditano la capsaicina (cioè la principale sostanza attiva del peperoncino) come una delle molecole potenzialmente più dotate di proprietà antivirali. Secondo gli studi, la capsaicina è capace di bloccare uno specifico enzima proteasico posseduto dal Coronavirus, la cui attività è indispensabile per la replicazione virale all’interno della cellula infettata.
Diverse sostanze derivate dalle piante (e dalle spezie in particolare) sono ben conosciute per le loro qualità antiinfettive e antivirali. Questi composti servono alle piante stesse per difendersi da germi e virus da cui possono essere attaccate, al pari se non più frequentemente di quanto non capiti all’uomo.
La medicina tradizionale ha imparato ad utilizzare le piante per curare dissenterie, infezioni bronchiali, cistiti e molte altre patologie infettive senza minimamente sapere che i principi attivi contenuti nelle piante hanno nomi come capsaicina, piperina, naringina, quercitina, acido gallico, curcumina, etc.
La capsaicina del peperoncino sta rapidamente guadagnando il favore della ricerca come si evince dal numero dei lavori scientifici recensiti anno dopo anno dalla Biblioteca online PubMed: ben 601 ricerche nel 2020 fanno riferimento alla capsaicina non solo per le sue proprietà antivirali, ma anche per le indicazioni tradizionali (rivisitate in chiave moderna) e per le novità in campo metabolico e antitumorale.
Il nome peperoncino ha un’assonanza con quello del pepe. Si tratta di due spezie molto amate anche perché accomunate dal sapore piccante, ma mentre la prima è giunta dall’India in tempi remotissimi, la seconda proviene dall’America centrale a partire dalla scoperta di Cristoforo Colombo, sebbene fosse ben conosciuta dai Maya e dagli Aztechi.


Botanicamente le due piante sono diverse. Il piper nigrum (pepe) è una pianta arbustiva, il capsicum (peperoncino) appartiene alla famiglia delle solanacee come la melanzana e il pomodoro. Il nome capsicum richiama la forma a capsula del frutto, che al suo interno racchiude i semi avvolti da una speciale membrana che è depositaria della capsaicina.
La proprietà più nota del peperoncino, perché correlata alla sua piccantezza, è quella di stimolare prima e di anestetizzare poi le terminazioni nervose sensitive. Per questo motivo il peperoncino è stato utilizzato fin dall’antichità a scopo antidolorifico sotto forma di decotti e cataplasmi ed oggi è usato come unguento, pomate e cerotti per le nevralgie (es. da herpes zoster) e per i dolori muscolari e articolari (trova applicazione anche nell’artrite reumatoide).
I recettori della sensibilità sui quali agisce la capsaicina (in sigla TRVP1) non sono presenti solo sulla cute, ma sono diffusi praticamente in tutto l’organismo. I TRVP1 ricevono informazioni sullo stato di salute degli organi interni e fanno partire segnali verso i centri cerebrali. Questi segnali possono anche giungere alla coscienza come per il dolore intestinale e urologico o possono non giungere alla coscienza, come per il polmone e il sistema circolatorio, ma in ogni caso evocano risposte neurologiche automatiche, non sempre positive a lungo andare.
Poiché i TRVP1 assumono un ruolo importante nel funzionamento degli organi interni, si comprende come la capsaicina (che è in grado di influenzare la sensibilità dei TRVP1) stia guadagnando la fama di sostanza dotata di molte proprietà di salute.
E così il peperoncino è considerato un buon decongestionante (oltre che antisettico) nel raffreddore, nelle riniti e nel mal di gola; è un buon digestivo e preserva l’integrità dello stomaco e dell’intestino (mentre più discusso è il suo uso nei pazienti già affetti da gastrite e ulcera); agisce sull’apparato urinario riducendo l’eccitazione e attenuando l’incontinenza vescicale; migliora la circolazione del sangue ed è considerato un cardioprotettore.
La capsaicina condivide con altri composti di origine alimentare la capacità di stimolare la produzione della Sirtuina che è una molecola capace di potenziare molte vie metaboliche utili per le cellule. La Sirtuina accelera il consumo di grassi e zuccheri, favorisce la riparazione dei danni cellulari e agisce come molecola anti invecchiamento.


E’ forse su questa base che possono essere spiegati alcuni effetti biologici del peperoncino come il controllo del colesterolo, l’azione antiglicemica, l’accelerazione del metabolismo e il consumo dell’eccesso del grasso (le prove della capacità lipolitica della capsaicina sono verificate a breve termine, ma non cronicamente, sebbene sia noto che i consumatori di peperoncino tendano a mantenere più corretto il peso corporeo).
Da qualche tempo la capsaicina è studiata come possibile molecola anticancro: riduce la proliferazione delle cellule patologiche, stimola l’apoptosi ovvero l’autoeliminazione delle cellule che hanno subito danni genomici pericolosi, blocca la proliferazione delle cellule tumorali in sede di metastasi e stimola l’attività di geni anti-cancro. Resta tuttavia da definire la reale valenza clinica della capsaicina nella cura dei tumori o almeno come terapia adiuvante.
Maggiori sono invece i riscontri clinici sui benefici cardiovascolari del peperoncino. Lo studio italiano sugli abitanti del Molise, particolarmente vasto (ben 22.811 cittadini) e con osservazione media di 8.2 anni, ha dimostrato che le persone che assumono il peperoncino 4 volte la settimana o più hanno un rischio di mortalità cardiovascolare ridotto del 44% rispetto a chi non fa uso del peperoncino. Con riferimento alla mortalità globale, il rischio è risultato ridotto del 33% in maniera indipendente da fattori come il colesterolo, la pressione arteriosa o il soprappeso delle persone (ML. Bonaccio et al. “Chili Pepper consumption and mortality in italian adults”. J Am. Coll. Cardiology 2019). Certamente, un’assunzione di peperoncino quattro volte la settimana può sembrare esagerata per le persone comuni, ma non così per i Molisani, dei quali si dice che durante il pasto alternino un boccone di pane a uno di peperoncino.
A conti fatti, anche la capsaicina, come altre sostanze alimentari, pare dimostrare la sua utilità più nella prevenzione delle condizioni patologiche che come farmaco curativo. Tuttavia o proprio per questo, una maggiore attenzione in favore del peperoncino potrebbe essere benvenuta per tutti.
*Vicepresidente Associazione Salute e Sanità Trieste (Asst)

 

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