di Carlo Morandini
RIVIGNANO – In questi giorni si parla di emergenza sanitaria, ma non si parla abbastanza di ciò che sarà il dopo-emergenza. Di come potremo riprendere la vita di ogni giorno. Non certo come prima. Ma, proprio per questo, cercando di ipotizzare percorsi nuovi da seguire per rendere sostenibile la ripresa. Che come concordano diversi analisti, con una valutazione multidisciplinare, potrebbe coincidere con l’auspicato rilancio. E con un nuovo periodo di sviluppo. Con la crescita. Non solo dell’economia, ma anche dei valori, del benessere. Di un benessere al quale un ritmo frenetico dell’esistenza ci aveva disabituati.
Cambierà l’Europa questo virus? Se così sarà, cambieranno gli scenari dei flussi turistici, specialmente di quel turismo attento e di ricerca. Che finora ha sostenuto settori di nicchia, e non solo, del territorio. Che sono trainanti per la sua attrattività. E che sono forse i principali custodi della cultura del territorio stesso. Dell’essenza della civiltà contadina che è stata per secoli la fonte dell’economia dell’area.
Eccellenze che sono la più alta espressione dall’agricoltura di qualità, dall’agroalimentare specializzato, dall’alta ristorazione, dalla ricettività di pregio all’enologia, che oramai ha raggiunto un livello di qualità omogeneo, ma differenziato per prodotti. E, fino a oggi, anche per mercati. Infatti, gli operatori più attenti si stanno già interrogando su come sarà il futuro del dopo-pandemia. Di più, cercando di capire come poter assecondare le attese degli ospiti, a tavola, in cantina, nelle nicchie della ricettività eccetera. Perché gli operatori che amano la loro attività puntano soprattutto a far sentire gli ospiti come a casa propria. Il ‘come a casa loro’, però, a questo punto implica, per esempio, di intuire come sorprendere i commensali con piatti che rispondano ai loro desideri, ma che mantengano saldo l’attaccamento al territorio, alla stagionalità, a un percorso identitario, orientato all’alta qualità. La ristorazione costiera se lo sta chiedendo, a cominciare dalla cucina di maggior valore. Così come quella di pregio del Trentino, come segnala l’amico e maestro di penna Edoardo Raspelli. Ma anche nella Riviera Friulana sta accadendo questo.
Alberto Tonizzo con le Frecce Tricolori, con la nipote dell’Aga Khan e con Carlo Cracco.
Gelato artigianale di pregio che arriva fin davanti casa, piatti anche elaborati ma pronti che sono consegnati sull’uscio dei committenti. Grandi vini, anche di cantine che si distinguono spesso nei concorsi enologici internazionali, spediti, pure su distanze brevi, con il corriere. Una cucina stellata che poi ha proposto, e il riscontro è stato positivo, il recente menù pasquale.
Nella Riviera Friulana ad aprire questa strada è stato Alberto Tonizzo, chef stellato titolare del ristorante “Al Ferarut” di Rivignano, locale con una storia di oltre cinquant’anni. Che l’emergenza, nonostante l’alto livello di qualità raggiunto, ha indotto a cambiare strategia e progettualità. Già, progettualità. È su questo elemento che si concentra Tonizzo. Chiedendosi se si riprenderà come prima. Se a tavola si potrà stare, presto o quando. Nel caso, il suo locale, pensato negli anni Sessanta, possiede gli spazi per poter continuare nel rispetto delle distanze tra i commensali. Senza intaccare la qualità del convivio.
Ma, si chiede Alberto, avremo ancora ospiti stranieri? Quelli che continuano a scegliere la nostra cucina, dopo questa brusca fermata avranno le stesse attese, gli stessi gusti, vorranno le stesse cose? Quella di Tonizzo è una cucina che parte dalle emozioni, suscitate da piatti che nascono dalla geniale intuizione di Gualtiero Marchesi: una “nouvelle cusine” calata sul territorio e capace di interpretarne l’essenza, le carature, il retaggio di una storia ancorata alle tradizioni della campagna, del fiume, della laguna, del mare Adriatico. Mah? Si chiede ancora Alberto: sarà ancora così? O si vorrà riassaporare il gusto della tavola tradizionale. Avrà un senso impiegare tanto tempo in cucina per preparare piatti spettacolari, una sinfonia di sapori, aromi, colori. O dopo questa pausa di riflessione bisognerà fare un passo indietro e ripartire per un “rinascimento” della cucina italiana, che è sempre trainante tra i sapori del mondo?
Alberto Tonizzo cita Ferran Adrià, un faro della ristorazione moderna, capofila di un pensiero rivoluzionario che si fonda sulla cosiddetta cucina molecolare: “Non è il momento della creatività, ma della logica imprenditoriale”. E per Alberto, che ha già cominciato a interpretare questo percorso, nel piatto “si ritornerà alla terra e al mare”, anche se questa riflessione identificherà soltanto una delle fasi di questa trasformazione. Perché un’onda invisibile ha invaso e modificato la nostra quotidianità, le nostre sicurezze e il nostro futuro. Si parla molto di sintomi derivanti dal virus, ma molto meno del virus, come episodio di un cambiamento preannunciato. Perché cambierà sensibilmente gli stili di vita. Alcuni parlano di ‘buoni pasto’, altri di proposte promozionali, altri rievocano i fasti antichi di pietanze rassicuranti. Altri ancora fanno pronostici tra quali modelli reggeranno alla crisi, quali riusciranno a trasformare l’offerta, quali chiuderanno per sempre i battenti. Un cambiamento, quello che si sta ormai palesando, che partendo dai riflessi economici della pandemia ricadrà su conseguenze anche pesanti dal punto di vista economico. Tant’è che un consistente gruppo di operatori del turismo, della ristorazione, dell’agroalimentare rappresentati dalle rispettive associazioni stanno facendo pressione sul Governo affinché siano previsti interventi a sostegno delle realtà più piccole, e sono davvero tante, che risentono e risentiranno della crisi”.
Fare pronostici? Per Alberto Tonizzo è ancora azzardato. Occorre considerare che “la ristorazione è l’espressione della società, che ora è globalizzata. Ma rimarremo così o si ritornerà alle identità locali, che in realtà da noi non si sono mai sopite? Riscopriremo il gusto di assaporare al di là dei condizionamenti?”. La sua cucina era già così. Ma la domanda è: continuare così o cercare di capire quale sarà l’approccio con il cibo dopo la pandemia, ovvero dopo una prolungata e forzata ‘pausa di riflessione’?
Si amplifica, nel contempo, il valore dei messaggi attraverso i social media. Che raggiungono una società in rete, articolata e variegata, complessa ma sempre più completa. Questo vale anche per la comunicazione in generale: i grandi quotidiani erano già in crisi, con la pandemia hanno imboccato una ulteriore discesa. Per cui il vettore più efficace per comunicare e far conoscere le proprie peculiarità sono oggi sempre di più i social, e quindi il web. Gli stessi quotidiani offrono la possibilità di essere letti nel telefonino con un semplice clic.
Quindi, la ristorazione dove potrà andare? “Dovrebbe raggiungere una visione più ‘teleotipica’, incentrata sull’obiettivo finale, piuttosto che soffermarsi su teorie, creatività e fiction a tavola. Dovrà essere più vicina all’esperienza sensibile, che comprende l’esistenza delle finalità e del finalismo dell’umanità”.
Ovvero? “Un ritorno a sé stessi, alla percezione dei sapori e alla riscoperta della memoria del gusto, dei profumi, delle sensazioni che promanavano dalla cucina delle nonne e delle madri. Ovvero, un ritorno alla natura nel piatto”.
Come? “Attraverso la sostenibilità ambientale, quella economica, la proposta di luoghi ameni: ognuno di questi valori sarà la conseguenza dell’altro, in un’armonia naturale, umana e godibile”.
Quindi, della buona ristorazione, che ne sarà? “Dovrà assumere connotati più reali, più attuali, più concreti. Valori umani legati alla territorialità, alla prossimità, alla valorizzazione delle culture e del rapporto tra persone, nel rispetto del pianeta e della reciprocità”.
(1 – continua)
In copertina, Alberto Tonizzo con i suoi collaboratori al “Ferarut”.
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